Riforma costituzionale, le cinque regioni a Statuto Speciale mantengono tutti gli attuali privilegi.

Franco Marchiori: per quale motivo viene mantenuta questa sperequazione?

FRANCO MARCCHIORI

A sollevare l’interrogativo è il Segretario provinciale della FAP Acli di Venezia – Tra i quesiti posti dal referendum va richiamata l’attenzione sulla modifica all’ articolo 117 della Costituzione riguardante la diversa ripartizione delle materie tra stato e regioni a statuto ordinario, che comprende quindi anche il nostro Veneto, motivata dall’esigenza di superare i conflitti di competenza verificatisi dopo la precedente riforma costituzionale.

In caso di approvazione – afferma Marchiori –   le cinque regioni a Statuto Speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) mantengono tutti gli attuali privilegi fino “alla revisione dei rispettivi statuti sulla base delle intese con le medesime regioni e le province autonome” (Art.39-disposizioni transitorie -comma 13).

Va osservato che l‘art.117 è importante per la configurazione del Welfare mediante la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”: A questa frase viene ora aggiunta una  parte che riguarda  le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare” .  Si può pensare che tale aggiunta possa rispondere alla esigenza di garantire, da parte dello Stato, per tutti i cittadini italiani e per tutti territori uguali prestazioni di tipo sanitario e di servizio sociale.

Per quale motivo viene mantenuta questa sperequazione con il rinvio della revisione degli statuti delle regioni “speciali” che sarà frutto di un eventuale accordo tra lo Stato e le singole regioni a statuto speciale?

Va precisato – continua il Segretario di Venezia –  che alle regioni a statuto speciale è stata riconosciuta una più ampia autonomia finanziaria che, a differenza di quanto avviene per le regioni a statuto ordinario, consente loro di trattenere direttamente il gettito delle imposte con la conseguente maggiore disponibilità di risorse per operare in modo sollecito a favore della economia locale, con contributi alle aziende, con la organizzazione dei servizi quali la sanità e le politiche sociali.  A titolo di esempio si cita il Trentino Alto Adige, dove, per il principio del federalismo fiscale, le province di Trento e Bolzano trattengono nel loro complesso circa l’80% delle imposte per far fronte alle attività decentrate senza far capo alla autorità centrale di Roma.

Se si esamina la spesa sanitaria pubblica, che assorbe dal 70 all’ 80 % dei bilanci regionali, e si considera la quota di spesa pro-capite in anni abbastanza recenti, troviamo ai primi posti la Valle d’Aosta, la provincia autonoma di Bolzano, il Friuli Venezia – Giulia ed il Veneto, regione a statuto ordinario.   Va osservato che l’indice come la spesa pro-capite dipende dal grado di efficienza dei servizi e/o dalla quantità e qualità delle prestazioni effettuate. È noto che il Veneto è classificato ai primi posti per la quantità e qualità dei servizi.

Ma come avviene il finanziamento del fabbisogno del servizio sanitario nazionale ripartito fra le singole regioni su proposta del ministro della Sanità e approvato dalla Conferenza Stato- Regioni? Oltre ai ticket versati alle ASL il finanziamento regionale avviene secondo il federalismo fiscale, ormai in atto da tempo, con la compartecipazione ai tributi erariali (IRAP ed IRPEF) ma con una differenza sostanziale tra i due diversi tipi di regioni.  Per le regioni a statuto speciale il finanziamento è integrale ed è più tempestivo, mentre le regioni a statuto ordinario, abbisogna della compartecipazione all’IVA, il cui gettito di imposta è prevista dal bilancio dello Stato e quindi la determinazione dell’importo della quota regionale, indispensabile per il finanziamento della sanità regionale richiede  tempi più lunghi.

Se prendiamo in considerazione gli interventi sociali, nella graduatoria della spesa pro capite di qualche anno addietro ai primi quattro posti figurano la Valle d’Aosta e il Trentino Adige, con valori molto vicini per Trento e Bolzano.  Il Veneto ha un valore corrispondente a circa 40-45% dell’indice delle regioni a statuto speciale, prima citate, e le altre regioni a statuto ordinario hanno un valore notevolmente più basso.

Va evidenziato che anche nel sociale, proprio per la maggiore autonomia riconosciuta a livello fiscale, le regioni a statuto speciale possono contare su una maggiore disponibilità di risorse.

Il sistema integrato di interventi e servizi sociali è finanziato: dai fondi per le politiche sociali previsti dallo Stato (circa il 13%), per le non autosufficienze e per la solidarietà con i cittadini meno abbienti, dalle regioni (circa il 17%) e dai comuni (circa il 62%) e dagli stessi cittadini (circa l’8%). Va sottolineata la centralità dei comuni nella programmazione e nella erogazione degli interventi nel contesto della programmazione regionale.

Questa situazione di evidente sperequazione tra i cittadini delle regioni a statuto ordinario tra le quali il Veneto, ed i cittadini delle regioni a statuto speciale permarrà sia nel caso di prevalenza dei NO sia nel caso di vittoria del SI per un periodo transitorio, che durerà ancora degli anni, in quanto la revisione dei singoli statuti regionali dovrà essere approvata con legge costituzionale concordata tra Stato e Regione. Ciò in contrasto con   principio universalistico di garantire a tutti i cittadini parità di trattamento in tutto il territorio nazionale.

Dopo quasi 50 anni dalla loro istituzione – conclude Marchiori – ha ancora senso mantenere nell’art.116 della Costituzione la distinzione tra regioni a statuto speciale e regione a statuto ordinario?

Occorre quindi operare in ogni caso, qualunque sia l’esito referendario, per ridurre le differenze tra i due tipi di regione progettando le indispensabili modifiche legislative e tenendo in considerazione le condizioni generali dell’economia e l’esigenza del controllo della spesa pubblica finora esercitato di fatto solo sulle regioni a statuto ordinario.