Quota 100, pensioni e contrasto alla povertà

Con l’inizio dell’anno e l’approvazione della manovra diventa sempre più terreno di discussione il tema delle pensioni e del contrasto alla povertà. Con Francesco Roncone, segretario regionale Fap Acli Veneto, approfondiamo alcune questioni.

Con la maronconenovra appena approvata si parla del superamento della legge Fornero e di quota 100 senza penalizzazioni…
Parlare di “quota 100” senza penalizzazioni è fuorviante. Per effetto del combinato disposto dei nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo per il calcolo della pensione e della quota 100, chi andrà in pensione con 62 anni di età potrà perdere anche oltre 400 euro al mese.

Ci spieghi meglio?
I Coefficienti di trasformazione sono valori che traducono in pensione il montante contributivo accumulato dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa. Nuovi parametri da gennaio 2019, che tengono conto dell’aspettativa di vita  e variano a seconda dell’età anagrafica alla quale il lavoratore consegue la prestazione previdenziale, quindi saranno tanto più elevati quanto maggiore è l’età del lavoratore. Quindi è ovvio che il lavoratore che va in pensione adesso con 62 + 38 rispetto che andare con una pensione piena a 67 anni ci perderà. A parlare di riforma senza penalizzazioni si fa solo sofismi, vere e proprie acrobazie semantiche.

Però finalmente potranno liberarsi circa 400mila posti di lavoro.
Secondo l’ufficio parlamentare di Bilancio a scegliere quota 100 potranno essere circa 400mila italiani, vero, però bisogna considerare che, con i disincentivi alla quota 100 contenuti nella manovra, solo alcuni decideranno il pensionamento ed è facilmente deducibile che solo alcuni di quei posti lasciati vuoti saranno riempiti. Sarà, per molte aziende una opportunità per ristrutturare la propria organizzazione, riducendo il proprio personale, azioni che assieme alla spesa pensionistica, che inevitabilmente aumenterà, si ripercuoteranno negativamente sulla nostra economia.

…comunque le pensioni, eccetto quelle cosiddette d’oro non sono state toccate…
Ci sono modi diversi di presentazione di ciò che si vuole rappresentare, ma la verità è una sola: le pensioni diminuiscono. Il mancato recupero totale dell’inflazione produrrà un calo dell’importo riscosso da molti pensionati.
È vero, nessun pensionato prenderà un euro di meno nel 2019 rispetto al 2018, tranne quelli di oro. Ma è una verità solo parziale, nel senso comune il messaggio è falsato, perché il confronto non va fatto con il 2018, il fatto è che, molti pensionati, riceveranno, ogni mese, meno di quello che avrebbero potuto prendere in un primo tempo, diminuendo, di fatto, il loro potere di acquisto, già ridotto da sette anni di mancato adeguamento delle pensioni al costo della vita. Nel mondo reale il gas, la mozzarella, il pane e la pasta hanno avuto aumenti consistenti. Il 31 dicembre 2018 sarebbe decaduta la norma che rivalutava le pensioni in base a 5 fasce di importo e si sarebbe dovuti tornare alla situazione in vigore a fine 2011. Voglio ricordare che fu il Governo Monti e Letta a disporre il blocco della perequazione, sempre sulle pensioni oltre 3 volte il trattamento minimo e da un Governo, a dire di qualcuno “del cambiamento”, dal primo gennaio 2019, dopo 7 anni di penitenza, i pensionati sopra i 1.500 euro lordi, sicuramente non ricchi, speravano di tornare a prima della Fornero. Ancora una volta si distribuisce povertà, esasperando l’agonia di una generazione di famiglie monoreddito. Ricordo che, una volta, la donna, rimaneva a casa per svolgere il lavoro più bello del mondo, quello della mamma. Oggi, queste stesse famiglie, sostengono figli che non trovano lavoro o lo hanno perso, sono loro il primo ammortizzatore sociale, l’ossatura della nostra Italia.

Quindi ancora povertà
Spesso chi percepisce pensioni di 2100 euro lordi al mese, e stiamo parlando di pensioni di 1300/1500 euro nette, dopo aver pagato utenze e affitto, devono fare vere e proprie acrobazie per mettere assieme il pranzo con la cena, e tre o cinque euro, possono fare la differenza. La Uil ha calcolato, in un suo studio, che per una pensione lorda di 3.042 euro il mancato recupero dell’inflazione si traduce in una perdita di 167 euro annui, dal 2019 e per il resto della vita, stiamo parlando di pensioni sotto le 2000 euro netti.

Tutto da rifare?
Nel Veneto si moltiplicano i luoghi dove si distribuisce gratuitamente il cibo, un modo concreto per aiutare queste famiglie il cui reddito si è ridotto al punto tale che anche fare la spesa è diventato un problema e l’aumento delle pensioni minime a 780 euro, inserito in questa manovra, è un intervento sacrosanto, che va verso la giusta direzione, un punto a favore per questo Governo giallo verde.

La Fap Acli come si pone di fronte a questi scenari?
Le Acli da anni chiedono che si inserisca il quoziente familiare, tasse calibrate sul reddito familiare. Metteremo presto in campo, iniziative per informare i nostri iscritti, ma anche iniziative che affermeranno il concetto che la pensione non è una concessione dello Stato, un trattamento di assistenza concesso per sopravvivere, ma un sacrosanto diritto maturato attraverso il regolare versamento di contributi per la tutela della propria vecchiaia. Voglio ricordare che i pensionati non hanno rinnovi contrattuali e se le pensioni non venissero automaticamente rivalutate il loro potere di acquisto diventerebbe insopportabile. La tutela del sistema dei diritti sociali è nel DNA delle ACLI cui noi siamo parte integrante e ne siamo orgogliosi.

 

F.Gagno – Ufficio Stampa Acli Veneto